I Miserabili

28 Febbraio 2022 0 Di Altrevie Cinema

I Miserabili (Les Misérables) – di LadJ Ly – Francia 2019 – 103 minuti

Esordio folgorante di un regista figlio di maliani, originario della cittadina di Montfermeil, circa trenta chilometri da Parigi, dove Victor Hugo ambientò parte del suo romanzo “I Miserabili”, scritto nel 1862. A quanto pare, non è cambiato molto da allora, a parte l’arrivo degli strumenti tecnologici. Il regista comunque, da parte sua, ha fondato nel suo quartiere una scuola di cinema gratuita.

La trama è molto complessa e ci vorrebbe molto spazio per raccontarla. Qui viene estremamente sintetizzata ed è la seguente: Stéphane (Damien Bonnard), è un agente di polizia che si trasferisce dal comune francese di Cherourg a Montfermeil. Stéphane si integra facilmente nella comunità del piccolo centro e viene inserito nella squadra anti-crimine al fianco dei colleghi Chris (Alexis Manenti) e Gwada (Djibril Zonga), due poliziotti esperti e dai metodi non convenzionali.

Capisce fin da subito quanto la situazione tra le gang del quartiere sia tesa e fragile, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. La goccia che fa traboccare il vaso è il furto di un leoncino che viene rapito da un circo, a cui segue un incomprensibile violenza nei confronti di un bambino, mentre tutto viene ripreso da un drone a cui molti inizieranno a dare la caccia per cancellare le prove.

Stéphane si troverà costretto a sporcarsi le mani e gli occhi, invischiato in prima persona nelle miserie dei bassifondi, polveriera di violenza e criminalità, e comprenderà le difficoltà della polizia nel mantenere la pace e l’ordine seguendo il sentiero della legalità.

 Il film in realtà è un’opera corale, questa cittadina è piena di personaggi che difendono ognuno le proprie piccole fette di potere. A complicare la situazione c’è la presenza pervasiva dei cellulari e dei droni che riprendono le violazioni della polizia. Ma il lavoro di questo regista è fortemente influenzato dall’opera di Hugo, tanto che il film si conclude con una sua citazione: “’Ricordatevi di questo, amici miei. Non ci sono cose come le piante cattive o uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori.” L’altro riferimento, è ovviamente a “L’Odio” di Mathieu Kassovitz, vincitore del premio per la miglior regia al Festival di Cannes nel 1995. Anche in questo caso il regista era esordiente e con un bianco e nero straordinario e nervosi movimenti di macchina, raccontava la violenza delle banlieue.  In tutti e due questi film, i protagonisti principali sono i giovani abitanti delle periferie, che non sembrano avere altra scelta che la violenza. Anche Ladj Ly vince il premio della Giuria al Festival di Cannes, mentre la Palma d’Oro fu vinta da Parasite.

I Miserabili ha vinto comunque moltissimi premi in giro per il mondo, soprattutto per la capacità che il regista ha mostrato nell’utilizzo del poliziesco per raccontare le contraddizioni di un paese. Quello che colpisce di questo film è la vitalità del montaggio, inizialmente molto  tradizionale ma poi sempre più veloce e sincopato, con un uso della macchina che sembra essere talmente invisibile da dare la sensazione al pubblico di essere veramente presente sul luogo.

Qui di seguito i riconoscimentI:

2020 – Premi Oscar

Candidatura per il miglior film internazionale

2020 – Golden Globe

Candidatura per il miglior film straniero

2019 – Festival di Cannes

Premio della giuria

In competizione per la Palma d’oro

2019 – European Film Awards

Miglior rivelazione

Candidatura per il miglior film

Candidatura per la miglior sceneggiatura a Ladj Ly, Giordano Gederlini e Alexis Manenti

2019 – Satellite Award

Candidatura per il miglior film in lingua straniera

2020 – British Independent Film Awards

Candidatura per il miglior film indipendente internazionale

2020 – Critics’ Choice Awards

Candidatura per il miglior film straniero

2020 – Premio Goya

Miglior film europeo

2020 – Premio César

Miglior film

Migliore promessa maschile a Alexis Manenti

Miglior montaggio a Flora Volpelière

César del pubblico

Candidatura per il miglior regista a Ladj Ly

Candidatura per il miglior attore a Damien Bonnard

Candidatura per la migliore promessa maschile a Djebril Zonga

Candidatura per la migliore sceneggiatura originale a Ladj Ly

Candidatura per la migliore fotografia a Julien Poupard

Candidatura per la migliore musica a Marco Casanova e Kim Chapiron

Candidatura per il miglior sonoro a Arnaud Lavaleix, Jérôme Gonthier, Marco Casanova

Candidatura per la migliore opera prima

 

Nella parte finale di questa recensione uno spezzone di una intervista realizzata al regista:

 

Domanda: I MISERABILI è il suo lungometraggio di esordio nel cinema narrativo ed è prodotto con un impianto classico. È un primo risultato di tutte le esperienze che ha accumulato?

Risultato non lo so, visto che io spero che sia più un nuovo punto di partenza che un punto di arrivo. Ma è vero che in questo film racconto un po’ la mia vita, le mie esperienze, quelle delle persone che mi sono vicine… Tutti gli elementi della storia si basano su cose realmente vissute: i festeggiamenti per la vittoria della Coppa del mondo di calcio, ovviamente, l’arrivo del nuovo poliziotto nel quartiere, la storia del drone… Per cinque anni, ho filmato con la mia videocamera tutto quello che avveniva nel quartiere e soprattutto quello che facevano i poliziotti, non li perdevo d’occhio. Appena arrivavano, prendevo la videocamera e li filmavo, fino al giorno in cui ho immortalato un loro vero e proprio abuso. Anche la storia del furto del leoncino che scatena la collera dei gitani proprietari del circo che c’è nel film è reale… Ho voluto mostrare tutta l’incredibile diversità che costituisce la vita nei quartieri popolari.

Abito ancora lì, sono la mia vita e mi piace filmarli. Sono il mio set cinematografico!

 

Ha evitato il manicheismo. Non ha mostrato giovani buoni contro poliziotti cattivi, né viceversa. Il suo sguardo verso i protagonisti è privo di pregiudizi o di caratterizzazioni sommarie.

 

È ovvio, perché la realtà è sempre complessa. Ci sono buoni e cattivi da entrambe le parti…

Cerco di filmare ogni personaggio senza formulare alcun giudizio. «Il sindaco» ha un lato

educatore e allo stesso tempo è un po’ sordido, i poliziotti lo stesso, sono via via simpatici,

disgustosi, umani… Navighiamo in un mondo talmente complicato che è difficile esprimere

giudizi rapidi e definitivi. I quartieri sono delle polveriere. Ci sono i clan e, ciò nonostante,

cerchiamo di vivere tutti insieme e facciamo in modo di evitare che le situazioni sfuggano di

mano. È questo che mostro nel film, i piccoli aggiustamenti quotidiani che ciascuno compie

per restare a galla.

 

La storia si svolge in un contesto di disoccupazione e di povertà, che sono la causa primaria di tutti i problemi…

 

Quando si hanno i soldi, è facile vivere con gli altri, quando si vive in miseria, è più

complicato: bisogna ricorrere a compromessi, arrangiamenti, piccoli traffici… è una

questione di sopravvivenza. Anche i poliziotti sono in modalità di sopravvivenza, anche loro

vivono la miseria. I MISERABILI non è né «pro-delinquenti» né «pro-sbirri». Ho cercato di

essere più giusto possibile. La prima volta che mi hanno fatto un controllo, avevo 10 anni,

per dire quanto conosco bene la polizia: ci ho vissuto fianco a fianco, ho subito un numero

incalcolabile di fermi e di provocazioni. Mi sono reso conto che potevo permettermi di

calarmi nei panni di uno sbirro e di raccontare un pezzo di film dal loro punto di vista. La

maggior parte di questi poliziotti non ha fatto gli studi, vive anch’essa in condizioni difficili,

con stipendi da fame e negli stessi nostri quartieri. Stanno più spesso di noi nelle periferie

perché noi ci muoviamo, ci spostiamo in città, mentre loro lavorano tutto il giorno nel

quartiere, girando in tondo, rompendosi le palle. Per avere un po’ di azione, decidono di fare

dei controlli di identità ed è un circolo vizioso. Conoscono a memoria gli abitanti, la vita che

fanno, le loro abitudini, eppure li vessano tutti i giorni facendo i controlli. È inevitabile che

certi giorni scoppi la scintilla.

 

Possiamo dire che I MISERABILI sia un film umanista e politico nel senso che lei non giudica gli individui, ma denuncia implicitamente un sistema di cui tutti finiscono con l’essere ittime, residenti e poliziotti?

 

È esattamente questo e la responsabilità primaria ricade sui politici. Negli ultimi trenta o

quarant’anni hanno lasciato degenerare la situazione, ci hanno abbindolati con decine di

parole e piani – piano periferia, piano politico per la città, piano a destra e piano a sinistra -e il risultato è che non ho mai visto cambiare qualcosa da trent’anni a questa parte. L’unica

piccola eccezione è il piano Borloo: il rinnovamento dell’habitat è il solo risultato concreto

che ho visto. Ha migliorato la nostra vita quotidiana, dunque grazie a Jean-Louis Borloo. Ma,

a parte questo, non ho mai notato alcun progresso reale anzi, a dire il vero, si va di male in

peggio. E ciò nonostante abbiamo imparato a vivere insieme in quartieri dove coesistono

trenta nazionalità diverse. Io dico sempre che la società mista esiste solo nelle periferie,

invece nel centro di Parigi c’è l’esatto contrario. Ogni volta che attraverso la tangenziale

entro in un altro universo, prevalentemente bianco. La differenza è flagrante quando questi

due mondi sono affiancati. Quando un parigino si reca in periferia ha l’impressione di

avventurarsi in Africa o in Iraq, quando in realtà è a cinque minuti di metropolitana o

macchina! È un peccato perché i quartieri della banlieue sono in movimento, sono pieni di

vita, c’è un’energia incredibile. Non ci sono solo droga e violenza, che peraltro esistono

anche nel centro di Parigi… La vita nelle periferie è lontana anni luce dall’immagine che

offrono quasi tutti i media. C’è un baratro tra la realtà e l’immagine mediatica. Come

potrebbero i politici risolvere i nostri problemi quando non ci conoscono, non sanno come

viviamo né quali sono i nostri codici?

 

Un’altra realtà mostrata nel film che contrasta con i consueti stereotipi è la questione etnica: non ci sono giovani neri che si scontrano con poliziotti bianchi. Neri, bianchi e magrebini si mescolano da entrambe le parti…

 

Sì, perché questa è la realtà. C’è di tutto, persone che si frequentano tutte insieme, clan in

cui dominano i magrebini, i gitani sono presenti ma non si mescolano. Ci sono anche taciti

accordi in base ai quali non bisogna frequentare gli zingari. Anche tra i poliziotti c’è di tutto,

compresa gente di origine africana che noi soprannominiamo «guada»… Nei nostri codici i

«guada» sono quelli delle isole. I primi poliziotti neri venivano tutti dalle Antille e il nome è

rimasto, anche per coloro che oggi sono originari dell’Africa. Il «guada» del film

probabilmente è cresciuto in questo quartiere, ma è diventato poliziotto quindi è

considerato un traditore e questo complica ulteriormente la situazione. Anche i rapporti tra

Chris, il poliziotto bianco razzista, e Il Sindaco, il personaggio nero del quartiere, sono

complicati: si detestano, ma hanno anche stipulato dei piccoli accordi perché in fondo

ciascuno ha un po’ bisogno dell’altro… La polizia è costretta a fare qualche piccolo

compromesso a volte, altrimenti sarebbe la guerra permanente.

 

Anche la sua regia va contro alle aspettative, evitando il montaggio in stile videoclip, il cliché del rap/hip-hop… Era importante per lei lasciarsi ispirare dal racconto e dalle inquadrature?

 

Ci tenevo che i primi 40 minuti del film fossero un’immersione tranquilla nel quartiere.

Volevo innanzitutto accompagnare lo spettatore nel mio universo e solo in seguito entrare

nell’azione. Ma prima facciamo una passeggiata, seguiamo la cronaca, familiarizziamo con i

personaggi e il tessuto del quartiere… Ho eliminato gli stereotipi come la droga e le armi ed

effettivamente la musica è più elettronica che rap. Anche nel modo di parlare, ho voluto

 

evitare i luoghi comuni del film-banlieue.