Presentazione corso western

9 Febbraio 2022 0 Di Altrevie Cinema

Viaggio nei generi cinematografici: il Western, il cinema americano per eccellenza

Per raccontare il western, bisogna partire da André Bazin, critico cinematografico francese, padre spirituale di François Truffaut e fondatore nel 1951 dei Cahiers du Cinéma, rivista attorno alla quale si raccolsero la maggior parte dei registi della Nouvelle Vague.. Egli attuò una rivalutazione del cinema western, che definì appunto, “il cinema americano per eccellenza.”

Il western è un genere cinematografico che racconta l‘epopea americana della frontiera. Il tempo è il XIX secolo, lo spazio è quello dell’Ovest degli Stati Uniti. Le vicende narrate raccontano quel periodo storico immediatamente successivo alla guerra di indipendenza in cui i colonizzatori inglesi dettarono le basi per la costruzione della società americana. I primi pionieri vedono le desolate lande del west come un qualcosa di selvaggio e misterioso, che l’uomo deve ammansire e controllare per poter costruire una società civile che lo rispecchi e gli permetta di vivere in pace esaudendo i propri desideri. Di conseguenza, la frontiera diventa una frontiera mobile che si sposta continuamente in avanti, riducendo ciò che è selvaggio e ampliando un qualcosa che possa essere considerato civiltà. Spesso si sente parlare di conquista del west, e la terminologia non può che essere azzeccata: l’uomo “civilizzato” lotta contro il selvaggio con l’unico scopo di creare un posto che egli possa chiamare casa. Anche perchè, essendo egli “figlio di qualcun altro” (in questo caso, dell’Inghilterra), una casa ormai non la possiede più. Il concetto di frontiera mobile è uno degli aspetti costitutivi della società americana. Un paese che si costruisce man mano mentre si sposta verso ovest, che non ha confini, ma una frontiera in continuo movimento. Quando nel 1960, John F. Kennedy, parlando della conquista dello spazio fa riferimento al concetto di “nuova frontiera”, pesca nella cultura del paese e al concetto di spazio interstellare come nuova frontiera da conquistare. Gli Stati Uniti sono un paese giovane e attraverso il cinema western costruiscono un immaginario collettivo mitico, dove anche i luoghi dove si svolgono gli avvenimenti diventano essi stessi protagonisti.

La storia del cinema colloca nel 1903 il primo film western, “the great train robbery”, che si ispirava a una vera rapina ad un treno avvenuta 10 anni prima. In 15 minuti circa, viene costruito il primo topos del western, quello della rapina, che ritroveremo per esempio nella famosa scena della diligenza di “Ombre Rosse” di John Ford. Dopo l’exploit di Assalto al treno il genere prende piede e, soltanto nell’epoca del muto (ovvero fino al 1928), si contano migliaia di film western, tutti molto simili nella storia e nello “spirito”: l’eroe dei primi film western è un cow boy dalla morale cristallina e dai poteri sovrumani, spesso tutore della legge, un “giusto” che protegge i deboli, uccide gli indiani selvaggi e cattivi e veglia sulla società civile affinché resti tale.

Il primo regista ad interrompere questo schematismo e questa eccessiva semplicità storica dei primi film western fu John Ford, già attivo ai tempi del muto ma che col sonoro seppe (ri)scrivere la storia del west e concepire un percorso estremamente personale all’interno del panorama dell’intero genere. Nel 1956 dirige uno dei capolavori del cinema western, che è “Sentieri Selvaggi”. Sentieri Selvaggi porta a galla le ombre dell’epopea e si fa metafora dell’ipocrisia che ha contraddistinto la nascita della nazione americana, non così gloriosa come era apparsa fino a quel momento. Ford continua il suo discorso di “demistificazione” del west con il successivo “L’uomo che uccise Liberty Valance” (The man who shot Liberty Valance, 1962), in cui riflette su quanto la spettacolarizzazione del west abbia annacquato la verità storica e l’abbia lasciata nascosta in nome di una grandiosa, quanto ingiustificata, gloria.

Nel 1943 William Augustus Wellman girerà “Alba fatale” dove tre uomini vengono ingiustamente accusati di un furto di bestiame e vengono impiccati. Per contestare l’uso della pena di morte nel presente, bisogna rappresentare una storia situata nel passato.

Negli anni ’50 moltissimi registi utilizzeranno il western come metafora del presente: Johnny Guitar di Nicolas Ray (1954), che si conclude con un duello finale fra due donne; L’uomo di Laramie di Anthony Mann, (1956) una rilettura shakesperiana di Re Lear. Anthony Mann raffigura gli Apache come i nemici apparenti, ma il vero nemico è all’interno della società e, ancor più, all’interno della famiglia stessa; nel 1952 Fred Zinneman gira “Mezzogiorno di fuoco” considerato uno dei migliori film western e dei migliori film in assoluto. Scritto e prodotto da Carl Foreman, che non comparirà nei titoli del film, poiché nella lista nera del maccartismo, è una storia di uno sceriffo che viene lasciato da solo ad affrontare dei banditi, mentre i cittadini rimangono nascosti nelle case.

Nei primi anni ’60 invece il cinema di Sam Peckinpah, porta nuovi contenuti nel cinema western, utilizzando il concetto di violenza come catarsi. Il suo film più importante è “il mucchio selvaggio” del 1969. Un regista misogino e vagamente reazionario, ma che racconta senza retorica, la fine del sogno americano. Parallelamente al cinema di Peckinpah, Sergio Leone con la sua trilogia del dollaro racconterà anche egli la fine del cinema western, diventando tra i maggiori esponenti del cosiddetto western crepuscolare.

La fine degli anni ’60 porterà alla disgregazione del genere e alla nascita del western del ripensamento, dove viene rivalutata la figura dei pellerossa. Nel 1970 Ralph Nelson gira “Soldato blu”, ispirato ad un episodio storico, il massacro di Sand Creek del 1864, che però ricordò al pubblico di allora il massacro di My Lai del 1968, effettuato dell’esercito statunitense durante la guerra del Vietnam; sempre nel 1970 esce “Piccolo grande uomo” diretto da Arthur Penn, sulla battaglia di Little Big Horn.

Poi, il cinema western entra in un periodo di crisi, legato soprattutto ai cambiamenti dei gusti del pubblico e allo sgretolamento della dicotomia Buono/Cattivo. Nel cinema degli anni ’70, il confine fra il bene è il male diventa sempre più difficile da definire, mentre il western rassicurava il pubblico definendo bene i confini, anche se, questa in fondo era una illusione e questi confini non erano poi così certi fin dagli anni ’50. Ma, l’archetipo del western, che arriva dalle storie di strada giapponesi (I sette samurai di Akira Kurosawa) e dalla drammaturgia greca, si trasferisce nei polizieschi degli anni ’70 che si svolge nelle metropoli e gli inseguimenti a cavallo vengono sostituiti degli inseguimenti in macchina. La stessa prima trilogia di guerre stellari deve molto, come struttura narrativa, al cinema western.

 

Il corso si svilupperà attraverso 4 incontri. Nei primi tre incontri di circa due ore, andremo alla scoperta del cinema western, con la visione di spezzoni dei film particolarmente significativio. Alla fine del terzo incontro, decideremo insieme quale dei film che avremo citato o visto, vorremo vedere nel quarto incontro.